L’emergenza caldo non è certo un caso o un’anomalia, ma una conseguenza diretta del cambiamento climatico in atto, i cui effetti sono ormai tangibili da tempo, soprattutto in un Paese particolarmente esposto e vulnerabile come è il nostro.
In un clima così rovente, la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori non può essere affidata ad interventi emergenziali. Lo dimostrano le temperature estreme registrate già nei primi giorni di giugno, con scarti di molto superiori rispetto alle medie stagionali e lo dimostra la pressione che ogni anno i sindacati devono esercitare affinché Regioni e istituzioni adottino provvedimenti adeguati.
In questo scenario si inserisce l’Ordinanza della Regione Umbria del 13 giugno 2025, che vieta «il lavoro in condizioni di esposizione prolungata al sole durante le ore più calde della giornata» dalle 12:30 alle 16:00, nei giorni in cui la piattaforma Worklimate segnala un livello di rischio “Alto” per chi svolge attività fisica intensa all’aperto. Una misura necessaria, anticipata rispetto agli anni precedenti, ma che, come Fillea Cgil Umbria, denunciamo essere non sempre rispettata nei cantieri.
Proprio per affrontare in modo più sistemico i rischi da stress termico, mercoledì 2 luglio, ministero del Lavoro, imprese e sindacati hanno siglato il Protocollo quadro per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro.
Il testo prevede quattro assi di intervento fondamentali: rimodulazione degli orari di lavoro, ricorso agli ammortizzatori sociali, sorveglianza sanitaria e diffusione delle buone prassi in materia di prevenzione. In assenza di soglie di temperatura precise, il riferimento ufficiale per il datore di lavoro resta il bollettino meteo del Ministero della Salute (www.salute.gov/caldo), con la raccomandazione di predisporre aree d’ombra, fornire acqua, prevedere pause e riorganizzare i turni di lavoro.
Ma il vero nodo è che non si può continuare a gestire un fenomeno strutturale con risposte emergenziali. “Il cambiamento climatico è una realtà conclamata – afferma Elisabetta Masciarri, segretaria generale Fillea Cgil Umbria – e richiede strumenti stabili e verificabili. Servono maggiori controlli nei cantieri, serve far rispettare l’ordinanza regionale, analizzare l’effetto del caldo sulle malattie professionali e gli infortuni, serve soprattutto una legge nazionale che sia in grado di prevedere e calcolare gli effetti dello stress termico su chi lavora e rimodulare i tempi contrattuali. La strutturalità del cambiamento climatico impone una riflessione profonda sul modello produttivo adottato in un’ottica di sostenibilità e tutela della dignità del lavoro. È quindi necessario far fronte comune e dunque anche il ruolo attivo e l’impegno delle associazioni di categoria è quanto mai rilevante in questo percorso di responsabilità collettiva”.
Secondo l’OIL, il 70% dei lavoratori nel mondo è esposto agli effetti del cambiamento climatico. In Italia, il caldo estremo causa ogni anno migliaia di infortuni. Eppure, nei cantieri, nelle fabbriche, la risposta organizzativa spesso è carente o inesistente. “Non basta mettere nero su bianco cosa non fare – prosegue Masciarri – occorre garantire che quei divieti siano rispettati. Il lavoro non può costituire fonte di rischio. Il clima cambia e anche le tutele e le politiche devono adeguarsi”.