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Clima, disuguaglianze e povertà energetica: una questione di classe

15 luglio 2025
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Ondate di caldo sempre più frequenti e sempre più intense. Lo scorso giugno, stando ai dati Copernicus Climate Change Service /ECMWF, è stato il mese più caldo mai registrato nel continente europeo con una temperatura media pari a 20,49°C, 2,81°C sopra la media del 1991-2020, mentre a livello mondiale si è classificato al terzo posto dopo quelli del 2024 e del 2023.

L’Organizzazione Metereologica Mondiale (Omm) rileva nell’ultimo rapporto che la media annuale globale per ogni anno nel periodo 2025 - 2029 sarà da 1,2°C a 1,9°C superiore alle temperature preindustriali, con una probabilità del 70% che nello stesso arco temporale di osservazione si superi la soglia di +1,5°C di riscaldamento, stabilita dall'Accordo di Parigi nel 2015.

Gli impatti del cambiamento climatico sulla popolazione sono evidenti, specie in quella più vulnerabile. Sono circa 1 miliardo le persone in condizioni di povertà energetica nei Paesi in via di sviluppo che non riescono ad avere accesso alla rete elettrica o si avvalgono di combustibili inquinanti per cucinare, mentre nei Paesi avanzati la difficoltà risiede nella capacità di sostenere i costi di beni e servizi energetici per soddisfare i bisogni fondamentali, con ripercussioni sul reddito e sul bilancio familiare.

Nel 2023, oltre 2,4 milioni di famiglie italiane erano in povertà energetica, pari al 9% del totale stando ai dati dell’Osservatorio sulla povertà energetica dell’Università di Padova e la Banca d’Italia.

Un recente studio, pubblicato sul Journal of Environmental Economics and Management da Enrica De Cian, Giacomo Falchetta (CMCC e Università Ca’ Foscari) e Filippo Pavanello, fornisce una stima globale dell’impatto dei condizionatori d’aria sui consumi elettrici domestici. Analizzando i dati di 25 Paesi rappresentativi del 62% della popolazione mondiale e del 73% dei consumi elettrici globali, i ricercatori evidenziano come l’adattamento al caldo tramite l’aria condizionata comporti costi ambientali, economici e sociali significativi.

In media, l’utilizzo del condizionatore comporterebbe un aumento del 36% dei consumi elettrici residenziali. Entro il 2050, la domanda globale di elettricità per raffrescamento domestico potrebbe raggiungere i 1.400 TWh all’anno – equivalente all’intero consumo elettrico dell’India nel 2020 – con emissioni aggiuntive di CO₂ tra 670 e 956 milioni di tonnellate e un impatto economico stimato tra i 124 e i 177 miliardi di dollari.

Le famiglie a basso reddito, pur necessitando di protezione termica, sono spesso escluse da un accesso adeguato a sistemi di raffrescamento. Lo studio dimostra che le famiglie in cooling poverty possono arrivare a spendere fino all’8% del loro reddito per l’energia destinata al raffrescamento, contro lo 0,2-2,5% dei nuclei ad alto reddito.

Vivere in ambiente scarsamente raffrescati o riscaldati incide sulla qualità della vita, incide sulla salute e sulle opportunità di sviluppo, perché la questione della povertà energetica è una questione sociale oltre che economica.

Ad oggi, oltre un quarto delle famiglie in povertà energetica comprende almeno un minore: si tratta di circa 693.000 nuclei, per un totale di oltre 1,15 milioni di bambini e ragazzi, pari al 10,6% del totale delle famiglie con minori in Italia.

Una situazione che riflette il contesto generale in cui oltre il 52% del patrimonio edilizio residenziale nazionale è in classe energetica F o G e il 68% delle abitazioni utilizza ancora combustibili fossili per il riscaldamento. Investimenti di riqualificazione quanto mai necessari anche nell’edilizia residenziale pubblica.

A livello regionale, Federico Santi, neo amministratore unico di Ater Umbria, ha recentemente ricordato come, in Umbria ci siano circa 1.400 alloggi di edilizia residenziale pubblica che risultano vuoti perché non affittabili. In risposta a questa criticità, Ater Umbria ha presentato un piano strategico che prevede il coinvolgimento della Banca europea per gli investimenti per attivare un importante programma di finanziamento volto alla riqualificazione degli immobili sfitti, con l’obiettivo di recuperarne almeno il 60% nell’arco dei prossimi quattro anni.

Sarebbero 1.274 gli alloggi da ripristinare, per un investimento stimato in oltre 38 milioni di euro. Di questi, 26 milioni riguardano unità di proprietà Ater, 3 milioni quelle del Comune di Perugia, 1,1 milioni quelle del Comune di Terni e quasi 8 milioni gli immobili di altri Comuni umbri. Attualmente, solo 79 alloggi sono in fase di manutenzione, a fronte di 1.391 non locabili. A oggi gli appartamenti affittati sono 7.825, pari all’80,9% del totale.

A complicare ulteriormente il quadro vi è l’elevato turnover degli inquilini, la crescente difficoltà dei Comuni nell’assegnare alloggi di tipologia particolare e una morosità accumulata che ha raggiunto i 12 milioni di euro. Inoltre, il numero di riconsegne di alloggi è raddoppiato negli ultimi anni , da circa 100 a oltre 200 l’anno, a causa di modifiche nelle condizioni sociali e dell’impatto della riforma dell'ISEE, che ha spinto numerosi utenti verso il mercato privato.

Un trend critico evidenziato anche dal Sunia di Perugia, attraverso Cristina Piastrelli, segretaria provinciale e componente della segreteria nazionale del sindacato: “Se il trend attuale di riconsegne si mantenesse, si aggiungerebbero circa 800 ulteriori alloggi vuoti in quattro anni. Quello che ci auguriamo è una partecipazione condivisa e coordinata, in grado di dare risposte efficaci ai bisogni dei cittadini, - dichiara Piastrelli -  e capace di mobilitare risorse individuando imprese qualificate che garantiscano l’effettiva messa a norma degli impianti, in un’ottica di giustizia sociale e sostenibilità”.

Redazione Nuove Ri-Generazioni Umbria

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